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Galleria Ci vuole coraggio, cervello e buona volonta’…come Cataldi

nardinidi Francesco Nardini

La dimissione di Gianluca Cataldi da Capogruppo di maggioranza, ma non da consigliere, getta una luce nuova su un’amministrazione che si appresta a vivere altri 600 giorni alla guida della città. Una luce non troppo sfolgorante, purtroppo, che fa il paio con l’impressione di immobilismo che ormai da tempo sembra aver soffocato i fervori di rinnovamento (semmai ci sono stati) e di nuovo lavoro che l’attuale sindaco aveva indicato come pregiudiziali alla sua riconferma alla carica di primi cittadino. Non siamo qui a dire che sinora l’amministrazione ha fatto l’ordinaria amministrazione in una comunità che avrebbe estremo bisogno di straordinaria amministrazione (ci scusiamo per il gioco di parole) per ché lo si vede e lo si tocca, ma a parlare di quella luce. Gianluca Cataldi è una persona seria. Ha accettato con serietà e spirito di sacrificio il mandato che il popolo gli ha concesso, magari rinunciando un po’ anche al suo tempo da professionista Non è stato assessore perché è parente del sindaco. Ha fatto il capogruppo. In un’amministrazione poco decisa, e con un ambiente isolano ipercritico, quella carica era la peggiore che poteva capitargli. L’ha accettata, ma ha accettato , ipso facto, di fare da scudo a (quasi) quattordici prime donne, che non amano gli ordini di scuderia, che sono pronti ad alleanze di traverso (o trasversali) pur di averla vinta, che non sono il frutto di una selezione di sezione o di gruppo, ma di strani giri di promesse fatte al bar o alle feste, di individuabili gruppi di potere cittadino. Mi sembra di sentire: “Se ci vado io lì, vedrai!”. Poi di fronte all’inevitabilità della burocrazia i nodi vengono al pettine, le pazienze si sviliscono, la competenza annaspa e incominciano le camarille, i dissapori, i gruppuscoli. E alcuni gruppuscoli, di solito, hanno il sopravvento sugli altri, e pretendono la guida. Nella Nuova Sardegna di oggi Cataldi lo dice candidamente: “Troppo pochi a governare!”, ossia troppo pochi a fare e disfare (magari senza saper né fare né disfare), inerte la collegialità. In momenti di disagio come quello che stiamo vivendo, dove importantissimi parti dell’amministrazione stagnano (trasporti, lavori pubblici, assunzioni, tassazioni, imposte, ordinanze sul commercio, ecc, ecc, la collegialità diventa d’obbligo, anzi diventa d’obbligo anche l’apertura alle minoranze, sempre nell’ambito delle competenze reciproche). Ci vogliono muscoli, cervello e buona volontà. Virtù che latitano. Le dimissioni sono nate da un incidente di percorso – anche lieve se vogliamo – sulle attribuzioni di un incarico tecnico, è vero, ma evidentemente covavano da tempo. Da tempo, pare, le decisioni passavano sulla testa del collettivo, magari sull’onda del ‘o voti sì, oppure esci’. Sono l’indice di un collante ormai consunto, di una strategia per pochi intimi, che tutta la maggioranza sindaco in testa, deve prendere atto e rimediare. Se ce la fa.

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