Evanescente e dannosa la strategia utilizzata per la rinuncia
Di Roberto Zanchetta
Assistere alle sedute dei Consigli Comunali, quando si trova il tempo per farlo, ritengo sia cosa utile, quanto meno, per quella parte, della collettività che, per passione o semplice interesse personale, segue l’attività politico amministrativa del Comune, ove risiede. Con lo spirito e il desiderio di imparare e apprendere cose nuove, utili e interessanti raggiungo, lunedì mattina, dopo aver risalito le scale, la sala consiliare, per seguire i lavori della seduta, convocata per le ore 9,00 ed arrivo a riunione appena iniziata. All’ordine del giorno diversi punti in discussione, tra i quali: ordine pubblico, trasporti e collegamenti marittimi, argomenti molto interessanti e attesi, da tempo. In apertura, come prima procedura, la surroga di un consigliere comunale, purtroppo, proprio su questo argomento, dove, per prassi e abitudine, si dedica giusto il tempo tecnico per sbrigare il provvedimento, salutare ed augurare buon lavoro al neo consigliere, ho assistito, tristemente, al vecchio, becero e deprimente modo di fare politica, o meglio, di pensare di fare politica nelle more di una strategia inutile, evanescente e dannosa, soprattutto, per chi la mette in atto. Amaramente, vado a constatare che, la dove mi attendevo l’ingresso di un giovane frizzante e dinamico, ragazzo intelligente e molto attivo, sul territorio, è stata rappresentata una pantomima affidata al gioco poco edificante del silenzio, del so ma, forse, è meglio non sapere, una mossa strategica dal sapore vecchio, superato, stantio e speravo dimenticata, perché l’Isola, oggi, avvitatasi nella spirale della crisi, avrebbe bisogno di slanci di coraggio e di collaborazione, invece, con un velo di rammarico è stata rispolverata una tattica vecchia ed inconsistente, degna dei tromboni, dimenticati, della politica isolana, la cui cultura del non fare e non far fare è stata l’unica e deprimente arma per esaltarne, solo, la loro più recondita frustrazione, una volta raggiunto il misero scranno da consigliere comunale, per giunta di minoranza. Se la memoria non mi inganna, nella precedente legislatura l’Isola dovette assistere ad atteggiamento simile, dove un consigliere comunale, poi felicemente dimenticato dagli elettori, dominato da uno smisurato senso di protagonismo, per venti giorni cercò di bloccare i lavori del consiglio Comunale, dandosi “latitante” per eludere la notifica che, per prassi, deve venir eseguita, presso il domicilio, da lui, eletto, dai messi comunali o agenti della Polizia Municipale. Anche nel recente passato, un consigliere di minoranza inscenò tale strategia, per finire, poi, costretto a ritornare sui suoi passi. Giochini di bassissimo profilo che, purtroppo, vanno a dimostrare, inoltre, poca serietà verso il ruolo ricoperto o da ricoprire e scarso attaccamento alle reali problematiche da cui, questo paese, ahinoi, viene travolto, manifestando rispetto, alcuno, nei confronti di chi, quattro anni e mezzo prima, ha sostenuto con il voto quella candidatura. E’ stata una pagina, mi sento di dire ed è la testimonianza dei presenti, di coloro che hanno seguito questa fase della discussione, poco edificante, una pagina nera, l’ennesima dell’intero Consiglio Comunale di La Maddalena. Una pagina dipinta da più mani e da un giovane promettente e ricco di iniziative che, in questo caso, mal consigliato oppure eccessivamente fantasioso, ha commesso l’errore di copiare il peggio del sistema vecchio e obsoleto di un modo disfattista e autolesionista di far politica. Avrei gioito e mi sarebbe piaciuto, invece, vedere attivata, in aula, una forma di protesta geniale, originale e nuova, sgomberando il campo dai bassi e poco credibili giochi della mancata notifica, facendo rimarcare personalmente, in Consiglio, l’inosservanza della corretta procedura, qualora vi fosse realmente (alla sua inconsapevolezza nessuno può credere), facendosi eleggere e dimettendosi, semmai, immediatamente dopo aver manifestato personalmente, attraverso i microfoni dell’aula, quelle motivazioni depositate e protocollate. Rispettabili motivazioni, che, azionate da quel superato e inutile ingranaggio, vanno a perdere tutta la loro efficacia, la loro sorpresa la loro effervescente novità. Ecco, secondo il mio piccolo e umile pensiero, quello sarebbe stato, un gesto di grande strategia politica e di elevata disponibilità al servizio della collettività, da apprezzare per il coraggio e la sua efficacia. Così non è stato, abbiamo perso, si abbiamo perso tutti noi, l’opportunità di ricevere una vera lezione di freschezza dal “nuovo” che avanza, quella ventata di novità che, inesorabilmente ed evidentemente, si porta dietro la polvere, pesante, inutile e dannosa, del vecchio.
“Come salire sulla Concordia” cita un passaggio del documento di rinuncia, parole condivisibili che, pronunciate in aula, su quella barca affondata, avrebbero avuto un significato enorme, un significato molto più forte ed efficace, lasciate, invece, su di un foglio di carta, dopo la sceneggiata della convocazione, vanno a perdere tutto il loro reale contenuto, tutta la loro, dirompente, forza.
Stupisce come, un militare della Capitaneria di Porto, un uomo ligio al dovere, si rifiuti di salire a bordo di una nave sbandata e in difficoltà per provare a dare il suo contributo, salvare il salvabile e bacchettare, da membro dell’equipaggio, come sarebbe stato giusto fare, il “timoniere” del bastimento, finito in secca. Un’arrendevolezza troppo spicciola ma, evidentemente, le parole del Comandante De Falco, pronunciate a Schettino, la notte del naufragio dell’Ammiraglia della Costa, a nulla sono servite.







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