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PARCO NAZIONALE MALATO TERMINALE.

Riceviamo e pubblichiamo

Di Michele ESPOSITO Sono passati orami tre anni da quando l’attuale amministrazione si è insediata alla guida del Parco Nazionale di La Maddalena. Tre anni carichi di aspettative e di ambizioni che ho speso dedicando tempo, denaro ed energie nella speranza di poter contribuire al rilancio di un Ente che versava (e ancora versa) in condizioni disastrose. Mi fu chiaro, sin dai primi mesi di mandato, che tale rilancio non avrebbe potuto spingersi troppo in là rispetto alle attese che, insieme al Presidente e ai colleghi di Direttivo, avevo immaginato. Abbiamo dovuto fare i conti con carenze di tipo strutturale sconcertanti (mancanza di personale, mancanza di un direttore, una sede in condizioni pietose, un sistema informatico inefficiente, Stagnali in condizioni di abbandono) e voragini amministrative gigantesche (mancanza del Piano del Parco, mancanza di un regolamento per le missioni, di un regolamento per i concorsi, di un regolamento per le foresterie) la cui risoluzione si è immediatamente rivelata prioritaria rispetto a qualsiasi altra azione. A queste criticità si sono aggiunti i rilievi di un’ispezione del Ministero delle Finanze del settembre 2018 che ha portato alla luce gravi e prolungate inadempienze (gestione del contenzioso, trattamento accessorio del personale, programmazione dei progetti, solo per citarne alcuni), rispetto alle quali si esigeva un intervento riparatore immediato da parte dell’amministrazione in carica. Il lavoro di questi anni (con qualche nobile eccezione) è stato dunque in larghissima parte dedicato a ripristinare quelle condizioni di normalità capaci di garantire il regolare funzionamento della struttura. Con senso di responsabilità la parte politica ha messo in subordine le idee più ambiziose (il riordino della regolamentazione a mare, il numero chiuso per le aree più sensibili, gli incentivi alle imprese verdi, lo sviluppo del marketing turistico, e altre ancora) e lasciato carta bianca alla parte tecnica (direttori e personale) affinché riuscisse a rimettere ordine nel caos che da anni regna in via Giulio Cesare. È stata la cura migliore? Questo non so dirlo. Per quanto di buono è stato fatto (l’adozione di nuovi regolamenti, il nuovo sito istituzionale, la ristrutturazione della sede, i progetti Clima, l’accordo quadro con il Comune di La Maddalena, e molto altro ancora) le condizioni del Parco non sembrano migliorate. L’ordinaria amministrazione resta un nervo scoperto: si fa fatica a fare una fotocopia, a scrivere una lettera, a emettere un parere o a protocollare un documento. Per non parlare delle questioni più annose – campi boa, bigliettazione, cinghiali – che restano ancora senza risposta, e senza immaginare il decorso di una stagione turistica che, per ciò che riguarda gli aspetti ambientali, si preannuncia come una delle peggiori. Sarebbe facile, di fronte a una simile catastrofe, gettare la croce addosso al Presidente o al Direttore di turno. Ma sebbene Fonnesu e Zanelli non siano esenti da responsabilità (prima fra tutte la loro prolungata assenza) il problema non riguarda loro. Il Parco è un malato di una malattia genetica, lenta e terminale. Il succedersi di presidenze e direzioni, dal 1994 ad oggi, non ha spostato di una virgola le sue condizioni di precarietà e di inefficienza. Non esistono formule magiche o medicinali miracolosi legati a un nome o, peggio ancora, a un partito. Sarebbe forse più utile – lo dico senza farmi illusioni – che la politica (quella più sana) e la cittadinanza si riappropriassero di questa istituzione rivendicando con forza le risposte che l’Ente è tenuto a dare. Portando avanti una battaglia seria – distante dalle sceneggiate napoletane cui abbiamo assistito nel corso degli anni – che interessi le amministrazioni coinvolte nella sua gestione, prima fra tutte quel Ministero dell’Ambiente che piuttosto che vigilare sull’ordinato funzionamento della struttura si strappa le vesti per l’ampliamento dell’area SIC/ZPS. Un barlume di speranza – quello che ancora mi trattiene dalle dimissioni – lo tiene acceso il Sindaco di questa città che sin da subito si è interessato alla questione come nessuno prima di lui aveva fatto. Starà a lui, anche in qualità di Presidente della Comunità del Parco, guidare questo tipo di battaglia e trovare la terapia giusta (ma qui si trascende sul terreno dei miracoli) per curare il nostro malato. E se anche questa soluzione non dovesse funzionare, sarebbe meglio, per non prolungarne ulteriormente le atroci sofferenze, prendere in considerazione il rimedio più estremo. L’eutanasia.

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