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L’Isola che vorrei.

porto giardinelli okDi Salvatore Abate
“La supercazzola maturata, come se fosse antani…”. Vi domando, si dice così? Più o meno. In passato si “ciattulaia” solo nella vecchia “piazza rossa”- oggi desolatamente deserta- adesso, per non farci mancare nulla, ci sono i cosiddetti social- network. In questa “dimora” aurea, fatta di belle presentazioni e di frasi, secondo le circostanze, sdolcinate, gocciolanti di essenza di poesia, o libere da ogni forma di freno inibitorio, quanto tempo sprechiamo con le logorree. Che non sono malattie veneree, ma la nostra verbosità. Il nostro parlare a ca..so. I social network mi sembrano una sorta di riffa. Si punta, e chi spara la panzana più grossolana ha vinto. Cosa si vince? Si vincono dieci, cento, mille, diecimila “mi piace”. Oppure, il piacere di discutere con i nostri amici, con i quali, magari, abbiamo preso il caffè due minuti prima al bar o che abitano a cento metri da casa nostra, e che incontriamo ogni giorno. Ma i social- network ci permettono di essere visibili, delle piccole “stelle” del firmamento internettiano. Ci sono i complimenti e le mutue lusinghe su questi mondi di amicizia allo stato puro. Ma pure i decisi e gli “squillanti” vaffanculo.
In queste settimane, il tema su cui argomentare, riguarda le candidature a sindaco e le liste in competizione, considerato che fra poco più di un mese ci saranno le elezioni amministrative.
Ormai sembra assodato il fatto che i concorrenti, (questo terminologia non è adoperata per sminuire niente e nessuno) e, di conseguenza le liste, siano quattro.
Ormai su “faccia di libro” sono stati passati tutti e quattro ai raggi X….
Io, da osservatore di modestissima vaglia, mi sento di fare una considerazione ovvia. Che poi è quella che fa, visto il contesto e il periodo critico che attraversano moltissimi cittadini-elettori, “l’uomo qualunque”.
E’questa: abbiamo perduto l’ennesima occasione per dare dimostrazione di essere una comunità. Non vorrei essere drastico e tranciante, nel giudizio che implicitamente esprimo su chi dovrebbe rappresentarmi. Io giudico il metodo, l’approccio, che è sbagliato: è forse, come diceva il poeta, “ l’ultima occasione per vivere”, e noi potremmo sprecarla, alla ricerca degli attestati di abilità.
A parte i “grillini”, che contestano il sistema e che, per loro natura, corrono per essere antagonisti, gli altri tre gruppi avrebbero potuto, a mio sempre modesto avviso, raggiungere un accordo su un nome e un programma.
Luca Montella, Gaetano Pedroni, Fabio Columbanu e Andrea Rotta sono quattro persone valide, comunque, e vinca il migliore!
Al mio futuro sindaco vorrei indirizzare la lettera aperta che avevo fatto pubblicare su Liberissimo qualche settimana fa:
“L’isola che vorrei è quella dove ogni iniziativa, privata o pubblica, sia assunta nell’interesse comune, o non con finalità, manifeste o recondite, di benessere, personale, di gruppo d’interesse o di clan “familiare ”.
L’isola che vorrei non deve essere abitata da coloro che si affrettano a chiudere la stalla quando i buoi sono appena fuggiti, e che chiedono con insistenza, anzi pretendono indennizzi e rifusioni per furti perpetrati ai danni di vittime quasi consenzienti, dopo avere permesso, senza reagire, che fosse distrutta l’identità di una comunità civile.
L’isola che vorrei stende il tappeto a imprenditori che, in virtù della loro esperienza, capiscono che il turismo è sistema e non fenomeno sporadico dell’economia di un territorio.
L’isola che vorrei non lascia fuggire gli investitori facoltosi che progettano di realizzare opere di pubblica utilità agitando quello che il compianto sindaco Pasqualino Serra chiamava “ambientalismo di maniera”, in nome del quale si chiudevano le porte in faccia a chi voleva realizzare porti turistici o commerciali, per evitare che si distruggesse lo scoglio da cui ci si era tuffati quando si era bambini.
L’isola che vorrei ha tutti i pozzi trasparenti, colmi di acqua purissima e non contaminata da dosi massicce di veleno, e le persone accantonano le antipatie e le invidie in nome dell’interesse collettivo.
L’isola che vorrei è popolata da individui che non consentirebbero mai di costruire un hotel o strutture ricettive sulle rovine di uno spazio che era destinato a un’industria, entro una fascia costiera inquinata da un secolo di servizi offerti alla Marina Militare Italiana: ma proprio su quel sito, snaturandolo peraltro, si doveva puntare per favorire il rilancio socio-economico della Maddalena?
L’isola che vorrei dispone, anzi ha la fortuna di avere, una classe dirigente capace di soddisfare in piena autonomia, e senza dipendere da quei “begli amici” che operano a Cagliari e a Roma, le necessità dei cittadini, magari lottando e denti stretti e scontrandosi con loro, “gli amici”, che sembrano avere a cuore le sorti nostre, soprattutto quando sbarcano, all’isola, per cercare e per raccogliere i voti.
L’isola che vorrei è fatta di gente fiera, che sa quello che cerca e che vuole, che non si adagi nei piagnucolamenti, e che non incolpa un’autorità sovra comunale, regionale o statale, per i vantaggi non ottenuti o per le promesse mancate, che non officia il rituale della pretesa.
L’isola che vorrei è multiculturale ma questa caratteristica è la sua forza, e non la sua debolezza.
L’isola che vorrei …

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