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L’arcipelago più bello del mondo abbandonato al suo destino.

club medDi Salvatore Abate

Il turismo, da manifestazione marginale, non è mai riuscito a diventare momento centrale della società e dell’economia della Maddalena.
L’insularità può avere vincolato lo sviluppo, ma, è pure vero che l’insularità ha giocato un ruolo decisivo per la crescita civile.
Infatti, questa qualità necessaria può avere impedito la definizione di un modello peculiare di progresso sociale e il confronto con l’esterno, pur disponendo, il territorio, di una forte capacità attrattiva e di risorse d’elevato valore competitivo per il turismo.
Tuttavia, gli abitanti dell’arcipelago hanno tratto un gran beneficio dal fatto di essere stati condizionati, nelle loro scelte per l’avvenire, alla volontà di soggetti sovra ordinati e dal vincolo posto dall’isolamento.
Il benessere non ha reso improrogabile il confronto con l’esterno, con tutto quello che esisteva oltre il braccio di mare che separava La Maddalena dal resto della Sardegna, e la diffusione di proposte e di idee al servizio della cultura dell’ospitalità, sfruttata per fini remunerativi. Si è tratto di che vivere da un altrove lontano.
La Maddalena e le sue isole sono state sempre destinazioni eccellenti. La materia prima è sempre esistita e non è mai costata nulla. Gli investimenti che riguardavano le spese di trasformazione, invece, sono avvenuti sporadicamente e senza che gli investitori vi avessero mai creduto fino in fondo.
Nel corso degli anni, a partire dal fenomeno del “Village Magique”, primo insediamento di turistico di respiro internazionale avvenuto in Sardegna, l’arcipelago è diventato località vacanziera senza volerlo, perché il virtuale ospite lo sceglieva come destinazione, si è giovato di economie esterne e ha sfruttato la domanda stagionale, elastica e instabile, senza mai formulare una propria offerta. Il mercato turistico isolano è sempre stato un mercato anomalo perché ha soddisfatto unicamente il bisogno turistico prioritario dell’utilizzo del bene primario, si fosse chiamato esso mare, natura, ambiente, mentre non è mai riuscito a garantire tutti i servizi richiesti. Ciononostante La Maddalena è stata sempre una meta turistica alla moda e, ripetiamo, è partita ben prima della Costa Smeralda, con strutture ricettive di richiamo internazionale.
Sì, poteva essere programmato un turismo di nicchia, negli anni del dopoguerra. Perché, come si è spiegato, pur disponendo il territorio di strutture ricettive di richiamo internazione, si considerava il turismo come fenomeno accessorio, quasi un soprappiù di ricchezza, un tesoretto come si direbbe oggi, da cui attingere per le spese superflue di una comunità che non avrebbe potuto vivere, né allora, né ora, né mai, solo di questo.
Il merito attribuibile ai locali era stato quello di non avere alterato in maniera compromettente l’ambiente e il territorio. Ma, in verità, non hanno mai saputo metterlo in valore, neppure per farne la voce complementare del loro reddito. Questo avrebbe implicato qualche sacrifico aggiuntivo, rispetto alla routine, per mantenere vivo il mercato, in termini di promozione, di cultura dell’accoglienza, di professionalità, di investimenti e, anche, di rinunce, alla fruibilità totale dello stesso territorio. Ma, tranne qualche rara eccezione- rappresentata dal “Village Magique di Caprera dove erano stati messi a disposizione dei ‘francesi’ la pineta e il litorale di Cala Garibaldi- nessun sacrificio era stato mai voluto affrontare a tempo debito. Negli anni Ottanta questi discorsi non avrebbero avuto più senso, sarebbe stato troppo tardi. Il turismo ormai era subìto. Era cresciuto in maniera spontanea, senza programmi e senza regole. Qualche decennio più tardi sarebbe stato inseguito come una sorta di chimera, come un mezzo per governare il mutamento improvviso di un sistema di vita invidiabile. La svolta, tra promesse mancate, illusioni tradite, identità smarrite, “cricche”, luci innaturali di sfavillanti “centri congressi” sospesi sull’acqua e di alberghi di lusso in riva al mare, di G8 neppure “pregustati” e di porti turistici sognati, è ancora in atto.
L’attrezzatura disposta in una qualsiasi località per accogliere gli eventuali turisti costituisce l’offerta.
I prodotti dell’offerta turistica ,nella sua parte terminale , cioè l’industria turistica in senso stretto si compongono , nella maggior parte, di servizi.
I servizi sono consumati sul posto dal turista.
Quindi , nel mercato turistico , come in qualsiasi altro mercato ritroviamo le due componenti fondamentali della produzione-offerta e del consumo-domanda.
Il prodotto offerto e consumato è composto di elementi tangibili e intangibili , invece che di un unico elemento ben determinato .
L’industria turistica ha una produttività ridotta, di per se. E alla Maddalena, questo enunciato vale nella sua massima espressione.
Sfruttando appieno le risorse ambientali , la stagionalità, e addizionando l’offerta di servizi , un offerta via via sempre più qualificata , però, qui da noi, è possibile praticare almeno cinque tipologie di turismo.
Quello legate al mare e al sole, il classico richiamo di massa , tipico della società industriale: l’unico dove il fattore climatico è determinante.
Potemmo avere , ma non lo abbiamo, il turismo culturale, itinerante, con il Compendio Garibaldino di Caprera a far da locomotiva per un treno , partito dall’era neolitica è giunto fino ai giorni nostri.
Abbiamo, o abbiamo avuto solo incidentalmente il turismo scolastico- educativo, nel nostro caso specifico legato all’ambiente ,e qui il Parco Nazionale , inteso come ente di gestione dell’area protetta, dovrebbe impadronirsi del l ruolo che gli compete e che non svolge.
Potemmo porre nel novero il turismo di crociera , se adeguassimo le strutture portuali.
E, ancora , il turismo “di cura” , con un moderno centro di talassoterapia, come quelli che ci sono nelle isole dell’Egeo e che aprono in primavera e chiudono in autunno inoltrato.

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