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Galleria In ricordo dei danni subiti, ambientalisti a richiesta.

PADULEDi Salvatore Abate

L’isola che vorrei è quella dove ogni iniziativa, privata o pubblica, sia assunta nell’interesse comune, o non con finalità, manifeste o recondite, di benessere, personale, di gruppo di interesse o di clan “familiare ”.
L’isola che vorrei non deve essere abitata da coloro che si affrettano a chiudere la stalla quando i buoni sono appena fuggiti, e che chiedono con insistenza, anzi pretendono indennizzi e rifusioni per furti perpetrati ai danni di vittime quasi consenzienti, dopo avere permesso, senza reagire, che fosse distrutta l’identità di una comunità civile.
L’isola che vorrei stende il tappeto a imprenditori che, in virtù della loro esperienza, capiscono che il turismo è sistema e non fenomeno sporadico dell’economia di un territorio.
L’isola che vorrei non lascia fuggire gli investitori facoltosi che progettano di realizzare opere di pubblica utilità agitando quello che il compianto sindaco Pasqualino Serra chiamava “ambientalismo di maniera”, in nome del quale si chiudevano le porte in faccia a chi voleva realizzare porti turistici o commerciali, per evitare che si distruggesse lo scoglio da cui ci si era tuffati quando si era bambini.
L’isola che vorrei ha tutti i pozzi trasparenti, colmi di acqua purissima e non contaminata da dosi massicce di veleno, e le persone accantonano le antipatie e le invidie in nome dell’interesse collettivo.
L’isola che vorrei è popolata da individui che non consentirebbero mai di costruire un hotel o strutture ricettive sulle rovine di uno spazio che era destinato a un’ industria, entro una fascia costiera inquinata da un secolo di servizi offerti alla Marina Militare italiana: ma proprio su quel sito, snaturandolo peraltro, si doveva puntare per favorire il rilancio socio-economico della Maddalena?
L’isola che vorrei dispone, anzi ha la fortuna di avere, una classe dirigente capace di soddisfare in piena autonomia, e senza dipendere da quei “begli amici” che operano a Cagliari e a Roma, le necessità dei cittadini, magari lottando e denti stretti e scontrandosi con loro, “gli amici”, che sembrano avere a cuore le sorti nostre, soprattutto quando sbarcano, all’isola, per cercare e per raccogliere i voti.
L’isola che vorrei è fatta di gente fiera, che sa quello che cerca e che vuole, che non si adagia nei piagnucolamenti, e che non incolpa un’autorità sovra comunale, regionale o statale, per i vantaggi non ottenuti o per le promesse mancate, che non officia il rituale della pretesa.
L’isola che vorrei è multiculturale, ma questa caratteristica è la sua forza, e non la sua debolezza.
L’isola che vorrei …

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