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Galleria I bambini di Suor Enza hanno bisogno di noi, molti maddalenini hanno risposto positivamente

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Guccione Vincenza comunemente chiamata Enza.

Nasce a Palermo il 6/3/1961
Dopo il Diploma Artistico entra tra le Figlie di San Giuseppe, il 3 /7/1981
Diventa Suora il 8/9/1984
Arriva in Nigeria il 10/1/1996
Missionaria in Nigeria dal 1996, incontra la Comunità di Igbedor nel marzo del 2003 per la prima volta.

Nel 2009, con il sostegno del vescovo di Onitsha, Suor Enza fonda, insieme ad un gruppo di giovani che vogliono spendersi al servizio dei poveri, l’Istituto (religioso) Emmanuel Family e nel 2010, in Italia, costituisce insieme ad alcuni laici impegnati, la Emmanuel Family Italia Onlus, con lo scopo di supportare la comunita’ religiosa in Nigeria.
Vive attualmente nell’isola di Igbedor, nel Niger, dove, assistita da due volontari locali e ormai undici Novizie, porta conforto e aiuto all’intera comunità, con minimi mezzi, gestisce progetti di sviluppo, evangelizzazione ed educazione, per circa 8000 persone, di cui 5000 bambini.

Sor Enza Guccione ha raccontato la sua straordinaria esperienza missionaria:
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La mia vocazione si manifestò all’età di 13 anni, quando per la prima volta sentii la Presenza del Signore. Maturò, all’età di 20 anni, quando entrai tra le Figlie di San Giuseppe, affascinata dal Carisma Eucaristico. Non ho una storia particolare: ho vissuto in famiglia e condotto una vita normalissima ma con una particolare attrazione per il bello nella natura, soprattutto il mare, che mi dà il senso dell’infinito di Dio, che avvolge tutto. I momenti di riflessione e di discernimento per le decisioni importanti li ho maturati contemplando il mare.
In Nigeria venni mandata nel 1996 dalla mia Congregazione, per occuparmi della formazione delle giovani nigeriane, che desideravano percorrere un cammino verso la consacrazione religiosa. Nel 2003, per puro caso, fui invitata a visitare un villaggio fluviale. Nell’andare provavo solo un grande entusiasmo all’idea di dover attraversare il fiume, ignara di ciò che avrei incontrato. Al ritorno qualcosa aveva toccato il mio profondo. Nel 2005, partecipando al Primo Sinodo Diocesano in Onitsha, fui toccata profondamente dall’appello accorato dell’Arcivescovo, rivolto soprattutto ai religiosi e riguardante proprio quelle aree fluviali, lontane dalla cura materna della Chiesa, aree in cui l’Annuncio della Parola non era ancora entrato. Sentii in me forte il bisogno e il desiderio di fare qualcosa di concreto per quelle persone, parte del popolo di Dio, Corpo Mistico di Cristo, bisognoso di cura, attenzione, che, soprattutto, necessitava di essere ascoltato.
La mia Congregazione pero’ non la penso’ allo stesso modo e mi chiese di rientrare in italia. Mi trovai combattuta per la decisione che dovevo prendere. Decisi di vivere al villaggio con quella gente per essere una presenza di amore e di speranza soprattutto per I bambini e le donne in gravidanza. La congregazione decise di dimettermi.enza 3
L’Africa che ho incontrato non ha nulla a che vedere con la visione romantica e cinematografica di safari e cartoline. E’ una realtà complessa, da comprendere, accogliere, valorizzare, rispettare, ricca di valori da cui attingere e di sofferenze che dai film e dalle cartoline, non traspaiono.
Ci sono momenti in cui mi sono sentita impotente, soprattutto quando di fronte a gravi situazioni non ero munita di mezzi sufficienti per salvare dalla morte bambini o donne, soprattutto quelle in gravidanza. È terribile cogliere con consapevolezza piena, le infinite necessità e non avere che poverissimi mezzi per far loro fronte. Mezzi insufficienti per qualunque pur semplice strategia di azione. È allora che la convinzione e la conseguente motivazione, diventano più forti. Perché l’alternativa di quella gente, in assenza, è il “nulla”.
Ci sono laici che collaborano con noi al villaggio, alcuni di essi vengono dalle città vicine. Ma ci sono anche laici italiani che vorrebbero venire ad offrire il loro servizio e fare un’esperienza di vita. Purtroppo non siamo ancora in condizione di poter offrire ospitalità ai tantissimi giovani e meno giovani che ne hanno fatto richiesta, perché non abbiamo una casa in cui ospitarli.enza 4
Noi stesse siamo in dodici ed abitiamo in una casa di quattro camere… Con tutte le conseguenze che lascio immaginare.
Ogni occasione che ci dispone a fare dono di noi stessi, è sempre un’esperienza in cui nel profondo ci si sente appagati. Il donare infatti colma la sete del cuore dell’uomo. E questo non capita solo andando in Africa o in America Latina. È questo secondo me il motivo per cui, chiunque venga a trovarci, ‘ritorna’ con la gioia nel cuore e la certezza di aver ricevuto più di ciò che ha donato. In Africa ed in America Latina credo si sperimentino quei valori umani che in Europa si sono persi: l’Ospitalità, la Sacralità della Persona, l’appartenenza alla Famiglia, la condivisione, la spontaneità e la capacità dello stare insieme, il saper gioire delle piccole cose.>>

*** Per informazioni e approfondimenti sulle attività di suor Enza Guccione:
http://www.emmanuel-family-italia.org
enza-guccione@yahoo.com

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