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Adesso siamo costretti a zapparci anche l’aria che respiriamo.

tore abateDi Salvatore Abate
Prima di iniziare, vi avverto. Oggi sono sceso dal letto con il piede sbagliato. Ho voglia di criticare tutto e tutti. Di disapprovare. Di pensare tante parolacce da rivolgere alla pletora di cazzari e di spaccamontagne che circolano, purtroppo, impuniti. Sono a disagio, davanti al vuoto siderale che si apre davanti a noi. La verità si camuffa davanti alle chiacchiere. Vendiamo quello che non abbiamo. Il fumo, purtroppo, non può essere monetizzato. Altrimenti saremo ricchi sfondati. Purtroppo per noi, seguitiamo a vivere una sorta di sogno: siamo i più belli, tutti ci devono qualcosa. Una volta poteva essere così. Una volta … Adesso siamo costretti a zapparci anche l’aria che respiriamo. Vogliamo fare partire la macchina del “turismo”, ed è arrivato il momento. Ma, invece di leccarci le ferite perché durante il week end di Pasqua, a parte i visitatori di passaggio e i soliti noti, non ci ha cagato nessuno, pensiamo ad azzuffarci come i capponi di Renzo per stabilire chi ha tappezzato la città di manifesti indefinibili, e, visto che nessuno ne ha rivendicato la paternità, decisamente insignificanti. Chi li ha fatti stampare ed affiggere? Chissenefrega….
Se a farci litigare sono questi particolari marginali, non abbiamo chiare le priorità: il massimo sforzo deve essere dedicato a partorire le idee. Le idee per diventare grandi. La nostra offerta non compete più con quella dei nostri rivali? Cambiamola, o rinnoviamo il prodotto. Non si può andare alle fiere per proporre la spiaggia rosa di Budelli. Non è sul mercato. Dobbiamo proporre i nostri servizi e la nostra professionalità, che sono da definire. Dopo un salutare bagno di umiltà francescana, dobbiamo acquisire la consapevolezza che se le nostre risorse, appunto, un tempo, seppure non troppo remoto, ci permettevano di posizionarci su una fascia medio alta di reddito e di prestigio sociale, oggi ci presentano come tutti gli altri. Invece di inseguire un passato, bucolico, che non potrà mai ritornare, otteniamo il massimo rendimento dai vantaggi che il nostro territorio ci ha reso: li avessero altri, farebbero scorrere l’oro.
Noi ci leggiamo la vita, scateniamo le guerre tra poveri. Però, non sappiamo fare la voce grossa con i signori della Regione. Che dimostrano di avere il pepe nel fondoschiena quando si tratta di privatizzare i servizi di pubblica utilità, ma che ritardano di definire quelle prassi e quelle attività che consentono ai cittadini di un’isola di aprirsi al mondo. Meno male che il Comandante della Capitaneria di Porto della Maddalena è un uomo di buon senso.
E adesso toglietemi pure il saluto. Non mi interessa. Credo di non essere l’unico a nutrire queste sensazioni “entusiasmanti” (sic!)

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